Dopo mesi torno con una recensione di un saggio, per la prima volta vi voglio parlare di un libro scritto da un designer sul visual design. Si tratta di una critica, nel senso di messa in discussione del ruolo della comunicazione visiva nella storia.
Riccardo Falcinelli è uno dei più apprezzati visual designer sulla scena della grafica italiana, che ha contribuito a innovare progettando libri e collane per diversi editori. Insegna Psicologia della percezione presso la facoltà di Design ISIA di Roma.
Questa lettura mi ha decisamente colpito, mi ha fatto riflettere, ha risposto a molti interrogativi che mi ponevo sull’ambito della comunicazione e, come ogni buon libro, mi ha posta davanti a molti spunti di riflessione.
“L’ assunto di questo libro è che il visual design non sia una disciplina, ma una serie di discorsi che riguardano ambiti diversi della produzione e della conoscenza. Il campo è quindi molto vasto: contiene oggetti, informazioni, racconti, eventi, aziende e persone.”
Detta così potreste pensare si tratti di una lettura impegnativa, in realtà si tratta di un saggio adatto non solo ai designer o agli addetti ai lavori, ma anche a chi voglia approfondire l’evolversi dei meccanismi di comunicazione, dall’invenzione della stampa ai giorni nostri. Fa riflettere su come oggi, in un mondo in cui siamo circondati da visual design, sia importante sapere come funzioni certi meccanismi, da dove derivino codici e consuetudini che ci accompagnano ogni giorno.
Ecco alcuni estratti del libro in cui Falcinelli illumina il lettore con esempi di visual design tratti dalla nostra vita di tutti i giorni, che magari a prima vista sembrano non avere nessun collegamento con questa disciplina:
“I luoghi del supermercato sono infatti progettati secondo una trama precisa: il reparto dolciumi deve raccontare cose diverse da quello della carne. Le verdure sono sempre all’ingresso, gli ovetti di cioccolato sempre alle casse, secondo una rigorosa sceneggiatura: prima il dovere (verdura) poi il piacere (cioccolata).”
“Il packaging non riguarda però solo i prodotti in scatola. Più in generale è il modo in cui le cose si presentano ai nostri occhi: il grado zero del packaging è il piccolo adesivo su banane e pompelmi; mentre il grado più alto e astratto è quando il packaging sembra assente, come nel caso della carne. Al supermercato, se si fa attenzione all’illuminazione sul soffitto nel reparto bovino, si può notare che, a differenza di quelle del resto del locale, le lampade sono verdi. Si tratta di luci che emettono tutte le radiazioni tranne quelle verdi, facendo sembrare la carne più rossa. È packaging fatto con l’illuminotecnica.”
Sicuramente è molto interessante l’epilogo, in cui l’autore specifica che l’intero libro è sotto molti aspetti una decostruzione del mito della naturalità delle forme: il design è formato da convenzioni culturali. Non esiste un colore oggettivamente neutro e il famoso motto “less is more” non è un semplice retaggio costruito dal Modernismo del Novecento, non un fatto oggettivo e verificato. Semplicemente da quest’epoca in poi il concetto di “semplice” è per convenzione legato a quello di “buono”.
Altra riflessione importante è quella legata all’arte:
“Una delle caratteristiche principali del design, che lo distingue dall’arte e dall’artigianato comunemente inteso, è questa: un artefatto di design non esiste in un originale, ma nelle sue copie. E non si tratta solo di una necessità produttiva, ma di un orizzonte estetico, funzionale e di senso. Nel mondo contemporaneo il design è ovunque: può essere usato, abitato, fruito, maneggiato, goduto, sfruttato, sprecato, distrutto, riciclato; ma soprattutto il design può essere visto.”
L’autore esamina nel dettaglio le differenze tra arte e design: io stessa molte volte vengo definita “artista” da chi non si occupa di design, definizione che sento stretta in quanto molto spesso quello che faccio ha poco a che fare con il concetto che l’uomo medio ha dell’artista: un genio che esprime sé stesso in modo disinteressato. Io invece mi trovo appunto a dover mediare tra il mio gusto personale, cosa devo comunicare e a chi. Ho di solito molti vincoli e libertà di espressione limitata (cosa che in realtà mi stimola a cercare sempre nuove soluzioni comunicative).
Ma, come sottolinea Falcinelli, noi chiamiamo arte ciò in cui sentiamo un’intenzione d’arte. E non per forza l’arte deve essere espressione spassionata slegata al guadagno (infatti molti artisti contemporanei portano avanti dei business floridi con il loro lavoro).
Così come il design, che storicamente è associato alla persuasione e alla vendita, non per forza è mera espressione di ideali legati al consumismo.
Entrambi svolgono una funzione e sono espressione di valori, sogni, emozioni.
“Il visual design è dunque arte? Anche. Perché no? Talvolta”.
È una questione controversa che non ha sicuramente una risposta univoca e l’autore non pretende di fornircela, vuole soltanto ancora una volta farci riflettere su come i confini siano labili e dettati da convenzioni sociali.
Quindi tutti noi, come fruitori di comunicazione (perché molte cose sono innocenti ma sono in realtà visual design) siamo chiamati a mettere in discussione questi codici, che in parte abbiamo contribuito a creare e mantenere in vita. Non solo i professionisti della comunicazione come me, perché oggi con i social e il web più in generale gli strumenti di design sono alla portata di sempre più persone…e come dice l’Uomo Ragno da grandi poteri derivano grandi responsabilità.
Il visual design è un fatto sociale, perciò a tutti noi farebbe bene un po’ di consapevolezza di quello che stiamo andando a comunicare e a chi.
Io nel mio piccolo, cerco di passare questi concetti ai miei clienti e di migliorarmi ogni giorno, evitando di sentirmi superiore o di fare l’artista maledetta, ma studiando ogni giorno non solo per migliorare le mie competenze tecniche, ma anche la mia capacità critica.
Molto presto affronterò “Cromorama” un altro saggio dell’autore, dedicato all’influenza che ha il colore sul nostro modo di guardare e vedere il mondo che ci circonda.
Intanto sono curiosa di sapere se questa recensione è stata utile ed esaustiva, se magari ha scatenato in voi quella voglia di approfondire l’argomento e recuperare questo magnifico saggio.
N.G.